I soldati del primo Tricolore

Allo scoppio della rivoluzione francese esistevano in Italia quattro maniere di governo:
- quello austriaco nei ducati di Milano e di Mantova;
- la teocrazia negli Stati romani;
- la repubblica medioevale a Venezia, a Genova, a Lucca e a San Marino;
- erano ducati e regni indipendenti la Toscana, Parma, Modena, le due Sicilie e il Piemonte.
Né governi né popoli erano pronti a una rivoluzione: la coscienza degli uni era chiusa, quella degli altri vuota.
Al rombo della tempesta francese tutti i principi italiani sbigottirono.
Non si aveva né il concetto della federazione, né quello dell'unità: l'abitudine della servitù secolare tiglieva l'idea e il carattere dell'indipendenza, mostrando nei Francesi dei nuovi signori.
Di libertà si declamava con fervore comico e sincero, con frasi classiche e giacobine, senza intenderne nulla né dei principi, né degli ordini: vera smagna di emanciparsi dagli ultimi legami medioevali e dal dispotismo dei principi e dei papi.
L'Italia repubblicana non era che il fantasma del proprio cadavere regio, evocato dalla magica forza della rivoluzione francese.
Un battaglione e uno squadrone lombardi avevano partecipato alla dura battaglia di Arcole e lombardi e cispadani si erano affermati nel forzamento del segno contro i pontifici. Nel 1797 la Repubblica Cisalpina disponeva di quindicimila uomini agguerriti, e nel veneto si erano nell'estate organizzati tredicimila fanti e ben sessantamila guardie civiche.
Ma prova sempre più luminosa del loro valore, accompagnata da crescenti gravi sacrifici, gli italiani avrebbero dato negli anni successivi dal 1805 al 1814. In questo periodo, infatti, essi spargevano generosamente il loro sangue in pressoché tutti i campi di battaglia delle guerre napoleoniche, sia fra le schiere del Regno italico, sia fra quelle dell'esercito napoletano di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat, sia nei reggimenti francesi delle regioni nostre annesse via via alla Francia. Un insieme pari alla forza complessiva di non meno di dodici divisioni.
Lungo sarebbe l'elenco dei reparti italiani che si distinsero nelle grandi battaglie napoleoniche. Basti ricordare che reggimenti italiani erano nel 1805 ad Austerlits, l'anno dopo a Jena e ad Auerstadt nel 1807 a Friedland, due anni più tardi a Wagram. E via via gli italiani erano sempre più adoperati nelle maggiori operazioni e nei punti decisivi. Nella campagna di Russia si trovavano a Smolensk quattro reggimenti imperiali, tutti di elementi italiani, fra cui il centoundicesimo sempre in prima linea e i cui soldati si battevano in una lunga e difficile lotta alla moscova.
Nel 1813 si battevano il 20 maggio a Bautzen il centotrentasettesimo e il centocinquantaseiesimo di linea formati, nell'affannoso bisogno di ridare vita alla Grande Armata, con guardie nazionali piemontesi, genovesi, toscane, romane, nonché il quarto leggero napoletano.
Ricordiamo la partecipazione degli italiani alla guerra di Spagna, aspra e difficile, contro un popolo inferocito, in cui amore per la libertà e odio verso lo straniero giungevano al parosismo. In essa si segnalavano specialmente due divisioni del Regno italico, combattendo in Catalogna prima, poi in Aragona e nella Navarra: dopo un anno di lotta la divisione Lechi da settemila uomini era ridotta a trecentodiciasette.
Secondo il solito non solo truppe del Regno italico e dell'esercito napoletano, ma italiani nei reggimenti francesi combattevano la terribile guerra. Su più di trentaduemila napoletani spediti nella penisola iberica ne tornarono novemila. Gli italiani avevano mostrato tenacia e fedeltà a Napoleone proprio nel 1813, quando la sua fortuna crollava.
Secondo il solito non solo truppe del Regno italico e dell'esercito napoletano, ma italiani nei reggimenti francesi combattevano la terribile guerra. Su più di trentaduemila napoletani spediti nella penisola iberica ne tornarono novemila. Gli italiani avevano mostrato tenacia e fedeltà a Napoleone proprio nel 1813, quando la sua fortuna crollava.
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|  Il generale lombardo Teulié
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Elogi, onorificenze, riconoscimenti nei bollettini e negli ordini del giorno non mancarono. Quanto ai giudizi complessivi, valgano questi due: dopo Austerlitz, il trentasettesimo bollettino della Grande Armata diceva fra l'altro:
"L'Imperatore ha spessissime volte ripetuto: 'I miei popoli italiani ricompariranno gloriosamente sulla scena del mondo. Pieni di spirito e di passione, essi possiedono tutte le doti e le qualità necessarie per essere ottimi soldati'. I cannonieri della Guardia Reale italiana, alla battaglia di Austerlitz, si sono coperti di gloria ed hanno meritato l'ammirazione dei più vecchi cannonieri francesi. La Guardia Reale ha sempre marciato con la Guardia Imperiale e si è mostrata dappertutto degna di lei."
Il Primo novembre 1813 Napoleone disse al generale Fontanelli, che si accingeva a tronare in patria con i resti della sua divisione:
"la loro fedeltà intemerata ..., la loro intrepida condotta, la costanza dimostrata fra i rovesci e le sventure di ogni specie, mi hanno grandemente commosso. Tutto ciò mi ha confermato che bolle sempre nelle vostre vene il sangue dei dominatori del mondo ... io partecipavo al giudizio di disistima verso le truppe napoletane: esse mi hanno colmato di meraviglia a Lutzen, a Bautzen, in Danzica, a Lipzia e a Hannau. I famosi Sanniti, loro avi, non avrebbero combattuto con maggior valore".
Degli avversari basterà ricordare il giudizio del generale inglese Wilson, il quale nel 1814 a Mantova ebbe a dire ad un gruppo di ufficiali italiani e austriaci:
"l'esercito italico a Malojaroslavec mi sorprese per il suo eroismo: 16.000 di quei bravi ne batterono 80.000 dell'esercito di Kutusov".
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