Cefalonia, i giudici indagano su un gruppo di soldati tedeschi
parteciparono al massacro di oltre quattromila militari
Gli ultimi sette fantasmi
l'Italia riapre l'inchiesta
di CARLO BONINI
Repubblica.it
Il capitanio Apollonio, della divisione Acqui, circondato dai suoi uomini
I CONTI con la barbarie nazista non sono chiusi. Gli almeno 4 mila morti italiani di Cefalonia non possono riposare in pace. Non ancora, almeno. Restano sette fantasmi. Sette vecchi. Sopravvissuti ai loro orrori di soldati del Reich. Tenente Max Kurz, comandante della 14esima compagnia del 98esimo reggimento alpino. Sottotenente Ottmar Muhlhauser, aiutante di campo della 15esima compagnia comando 98esimo reggimento alpino. Capitano Alfred Schroppel, comandante della prima compagnia 54esimo battaglione alpino. Tenente Helmut Vogtle, comandante della quinta compagnia comando 54esimo battaglione alpino. Sottotenente Karl Weisbacher, comandante di plotone nella prima compagnia 54esimo battaglione alpino. Sottotenente Anton Wimmer, 98esimo reggimento alpino. Tenente Fritz Thoma, comandante della settima batteria 79esimo reggimento artiglieria da montagna. Prosciolti nel marzo di quest'anno a Dortmund dal procuratore federale tedesco Ulrich Maas, conosceranno in Italia una nuova istruttoria. Forse, un nuovo processo. Il procuratore militare di Roma, Antonino Intelisano, li ha iscritti al registro degli indagati per omicidio plurimo aggravato, ritenendo di poter dimostrare, al contrario della magistratura tedesca, che la mattanza di Cefalonia non può conoscere prescrizione.
A 64 anni dai fatti, del resto, il lavoro di ricostruzione si può dire completo. La magistratura tedesca ha raccolto in 37 faldoni e 51 pagine di requisitoria, documenti, diari e oltre 500 testimonianze oculari: le voci di greci, di sopravvissuti italiani e, soprattutto, di soldati tedeschi. In quelle carte, in acquisizione dalla Procura militare di Roma, il resoconto della dimensione e della natura del massacro arriva lì dove non era ancora riuscita neppure l'eccellente ricerca storiografica. Ed è una lettura definitiva. Che individua fosse comuni di cui si ignorava l'esistenza, riscrive la geografia delle esecuzioni sommarie. Documenta l'orrore provato dagli stessi carnefici.
Il contesto storico è noto. L'armistizio dell'8 settembre 1943 sorprende i circa 9.000 uomini della nostra divisione Acqui, comandati dal generale Antonio Gandin, sull'isola ionica di Cefalonia, nodo di importanza strategica nel golfo di Patrasso. Il 12 settembre, la divisione "Acqui" rifiuta di deporre le armi all'ex alleato tedesco, cui oppone resistenza. Tra il 21 e il 22 settembre, la Wehrmacht ne annienta le difese. Migliaia di prigionieri italiani inermi vengono fucilati in esecuzioni di massa. La mattina del 24 settembre, il generale Gandin e i suoi ufficiali sono trucidati da un plotone di esecuzione a capo san Teodoro.
Si era a lungo ritenuto che a scatenare l'orrore fosse stato l'ultimo degli ordini diramati dal Fuehrer il 18 settembre: "A causa del loro comportamento subdolo e da traditori, a Cefalonia non devono essere fatti prigionieri". Che agli ufficiali della Wehrmacht non fosse stata data altra scelta. Non è esattamente così. "Gli omicidi di italiani disarmati - documenta il procuratore tedesco Maas - hanno inizio già nella giornata del 16 settembre e proseguiranno fino al giorno 24".
I tedeschi abbattono gli italiani come capi di bestiame. In una feroce babele di ordini estemporanei. Si uccide in ogni angolo dell'isola. Nei modi e nei tempi suggeriti dalla pietà o dal sadismo degli ufficiali che comandano i plotoni di esecuzione. Le testimonianze raccolte dalla magistratura tedesca tra i soldati della Wehrmacht ne sono il documento raggelante.
Richard Hamann, soldato semplice del 98esimo reggimento alpino: "A Divarata ci radunammo in una piazza, con italiani. Giunse l'ordine che quattro camerati del plotone mitraglieri dovevano essere distaccati per la fucilazione dei prigionieri. Ero a circa 200 metri di distanza. Morirono in 62. Noi ne rimanemmo tutti choccati".
Alfred Richter, caporale in servizio allo Stato Maggiore del 54esimo battaglione alpino, scrive nel suo diario di quei giorni: "Al passo Koutsouli vengono sparati solo pochi colpi. Poi, gli italiani sventolano dei fazzoletti bianchi e corrono giù a frotte dalle colline. Quando superiamo il passo, ci imbattiamo in cadaveri di italiani. Sono stati fucilati da quelli del 98esimo reggimento dopo essersi arresi (...) A Pharaklata, facciamo sosta in un giardino presso una postazione di batteria di artiglieria italiana che il 98esimo reggimento, che ci ha preceduto, ha annientato brutalmente. Gli italiani sono stati fucilati, massacrati e calpestati con gli scarponi da montagna. A Frankata, senza aver sparato un colpo, si arrendono due compagnie italiane, circa 400 soldati. A gruppi, vengono portati nelle cave di pietra e nei giardini recintati appena fuori il paese, dove vengono falcidiati dalle mitragliatrici del 98esimo. Ci tratteniamo sul posto per due ore, durante le quali i mitra non hanno mai smesso di martellare. Le grida arrivano nelle case dei greci. Non vengono risparmiati neanche infermieri e preti. Chi abbia ordinato questo annientamento non ci è noto, tuttavia ne siamo tutti indignati. Anche i plotoni d'esecuzione. Uno di questi cerca di ribellarsi, ma viene subito messo a tacere da un ufficiale con la minaccia di essere messi al muro anche loro..."
Hans Kappel, maresciallo di sanità dello Stato maggiore del terzo battaglione 98esimo reggimento alpino: "A Dilinata, sorprendemmo un'intera compagnia della divisione Acqui, che si arrese senza combattere. Gli italiani furono subito disarmati e condotti in un avvallamento dove furono fucilati con tre mitragliatrici".
La mattina del 22 settembre, 650 fanti italiani vengono fucilati a Troianata. Spiros Vangelatos, che vive oggi a Cefalonia, quel giorno aveva 16 anni. Osserva la scempio nascosto tra i rami di un mandorlo. Così ne riferisce ai magistrati tedeschi: "Intorno alle 9, gli italiani vennero portati in fila in un campo chiuso da un muro di pietra. In quel momento furono scaricate due mitragliatrici con casse di munizioni. Cominciarono a fare fuoco sugli italiani. (...) Dopo tre giorni cominciò a diffondersi un puzzo orrendo. Cercammo di bruciare i cadaveri con la benzina lasciata dagli italiani. Quando anche questo tentativo fallì, mettemmo gli italiani - circa 600 - in due cisterne inaridite".
Si scompare per sempre anche nelle cave di pietra. Al centro dell'isola, tra Frankata e Valsamata, e all'ingresso di Argostoli. Michael Scharl, maresciallo della quarta compagnia 54esimo battaglione alpino: "Stavo passando con il mio plotone di fronte a una cava di pietre nella quale, proprio in quel momento, dei prigionieri italiani venivano fucilati. Vidi nella cava un gran numero di cadaveri, mentre altri prigionieri venivano condotti all'interno e fucilati di fronte al mucchio di cadaveri".
Al cimitero di Drapanos, l'orrore è insostenibile anche per i carnefici. Helmut Muller, 13esima compagnia del 98esimo reggimento alpino: "Gli italiani si erano arresi sin dal primo giorno di combattimenti. I nostri prigionieri dovevano esser stati circa 500. Pernottarono con noi e il giorno successivo proseguirono la marcia con la nostra compagnia. Se ne aggiunsero altri, fino ad arrivare a 1000 la sera del secondo giorno di combattimenti, quando ci accampammo nei pressi del cimitero di Drapanos. Ai comandanti di plotone fu ordinato di far fucilare i prigionieri. Due mitraglieri per ciascuno dei tre plotoni dovevano presentarsi volontari con una mitragliatrice leggera per ciascuno. Poiché però nessuno si offriva volontario, i mitraglieri furono scelti dai comandanti di plotone. I prigionieri furono divisi in gruppi e fucilati con tre mitragliatrici. Dopo che furono fucilati circa 200 prigionieri, l'esecuzione fu sospesa. L'intera compagnia che aveva assistito all'esecuzione si era ribellata e non si trovava più nessuno disposto a portare i prigionieri sul luogo dell'esecuzione".
Non lontano dal chiostro di Agios Gerasimou, i prigionieri italiani si stringono in un'improvvisa processione. I soldati della Wehrmacht ne fanno brandelli. Martin Lohringer, seconda compagnia 54esimo battaglione alpino: "Ci venne incontro una processione cristiana. Erano soldati italiani nelle loro uniformi. Saranno stati cento, quindi una compagnia. Vedemmo che non erano armati e l'ordine fu di lasciarli passare, risparmiandoli. Ma dopo alcuni minuti che la processione italiana si fu allontanata 100-200 metri sentimmo dei colpi. Ho avuto l'impressione che il 98esimo reggimento che era rimasto dietro di noi dovesse aver passato per le armi questa processione".
Tra i soldati tedeschi qualcuno prova a sottrarsi alla mattanza. J. Schallahart, fante austriaco della 12esima compagnia 98esimo reggimento alpino: "Il nostro maresciallo ci portò l'ordine di fucilare un'unità di italiani. Era inutile rifiutarsi perché la sorte era caduta su di noi e noi avevamo l'arma adatta, una mitragliatrice pesante che, portata in posizione, dovette sparare su un gruppo di 35 uomini messi contro un vallo di pietre. Tutti chiudemmo gli occhi, forse anche il mitragliere. Per noi è rimasto il trauma della vita". A Kardakata, il sottufficiale Wilhelm Kunzel, 910° battaglione di fanteria, riesce a sfuggire all'assegnazione del plotone che deve eliminare 200 prigionieri. "Quando seppi che l'ufficiale era in strada per mettere insieme gli uomini del plotone, mi nascosi nel mio alloggio. Dopo poco, sentii il fuoco delle mitragliatrici. Ad esecuzione avvenuta, apparve il nostro furiere, il maresciallo Bruno Michel. Aveva dovuto assistere alla fucilazione. Ci disse che era stato orrendo.
Ancora oggi è impossibile calcolare il numero esatto degli italiani trucidati a Cefalonia. Mentre dei 3.500 soldati tedeschi che parteciparono alla mattanza ne sono sopravvissuti alla guerra e al tempo 417. La giustizia italiana ricomincerà da sette di loro. I sette fantasmi con cui chiudere il cerchio della memoria.
Indice del
| ![]() |